nato 6/2/1966 - morto 11/10/1971

nato 4/8/1976 - morto 22/9/1980

 

 Lettera aperta al padre di Eluana Englaro  -  Mandate dei fiori al Ministro della Salute

Alberto nella “prigione” del Policlinico di Borgo Roma (Verona)

allora era “SEMPRE” dipendente dal respiratore (maggio 1984)

Alberto a casa col respiratore

“SOLO” durante la notte (2008)

Lettera aperta al padre di Eluana Englaro:

 

Gentile signor Englaro, le chiedo anticipatamente scusa per ciò che di seguito le scrivo nella sola speranza di arrivare a toccare la sua sensibilità e il suo grande cuore di padre.

Sono anch’io padre, uno dei tanti, che segue con molta attenzione e trepidazione la sua drammatica vicenda e quella di sua figlia Eluana. C’è una cosa che, forse a differenza di lei, ho dovuto vivere per capire più approfonditamente il reale significato del valore della “vita a qualsiasi costo”, avendo già provato l’amara esperienza della morte di due figli in tenera età. Un primo all’età di sei anni ed un secondo all’età di quattro. Ma non è questo che dà il significato alla mia missiva, ma la spasmodica e disperata ricerca di salvare a tutti i costi la vita ad un terzo figlio che, la cosiddetta scienza ufficiale, voleva morto all’età di quattro anni, com’era accaduto al suo gemello monoovulare. Tutta la nostra vicenda ha avuto inizio con l’uso indiscriminato che la medicina ufficiale fa di certe pratiche giustificandole armi assolutamente utili alla prevenzione.  Queste pseudo difese dell’umanità che, io invece non esito ormai più a definirle “spuntate e pericolose” sono le vaccinazioni. Tutti e tre i miei figli sono nati sani e sono stati cresciuti da me e mia moglie con tanto amore, fino a che la falce nera della vita ce ne ha strappati ben due. Il terzo invece, all’età di quattro anni, stava per fare la stessa fine del suo gemello, ma solo la forza della disperazione ed il coraggio di mia moglie e mio, ha impedito che accadesse l’irreparabile. Non creda che non sia stato il nostro un sacrificio l’aver dovuto e voluto prendere la decisione, la sola utile, a salvare la vita ad ogni costo a questo nostro figliolo. Soprattutto il sacrificio compiuto da mia moglie fatto per assisterlo mesi e mesi di seguito e per anni durante gli svariati ricoveri che il bambino ha dovuto subire dal 1980 al 1984, causa l’insufficienza respiratoria che è seguita alla sua patologia di base, assolutamente ingestibile a quel tempo a domicilio. Ciò che, oltremodo era diventato per noi insopportabile, era il constatare l’ottusità di una certa scienza medica che, durante i vari ricoveri  subiti, rifiutava ottusamente di curarlo in modo adeguato. Il bambino è stato più volte mandato in coma per errori, volontari o involontari, causati dai sanitari che lo avevano in cura, poiché, a mio avviso, era già stata emessa fin dal 1980, dopo l’exitus del suo gemello, anche per lui una fatidica “sentenza di morte”. La causa di questo era da attribuirsi al fatto che non si doveva assolutamente salvargli la vita perché avrebbe potuto dimostrare, come di seguito poi avvenne, la correlazione della sua malattia e quella dei suoi fratelli, con l’uso delle vaccinazioni. Il “mito” doveva ad ogni costo e con ogni mezzo  rimanere inviolato. Le garantisco caro signore che venne tentato di tutto per sopprimerlo. Ad esempio dopo un viaggio disperato fatto nell’inverno del 1980 dove siamo rimasti sprofondati in mezzo alle nevi svizzere. Con un’autolettiga era stato deciso il trasferimento dall’ospedale di Verona, dove era ricoverato attaccato ad un respiratore automatico causa il manifestarsi per la prima volta dell’insufficienza respiratoria, in Svizzera e precisamente a Berna dove, secondo certi sanitari doveva essergli praticata una terapia in fase sperimentale, ancora sconosciuta nel nostro Paese. Dopo gli innumerevoli contrattempi accaduti durante il viaggio, giunti alle dieci di sera alla sospirata meta svizzera, dopo una sommaria visita e accesa discussione, ci fu perentoriamente rifiutato il ricovero in quel mega ospedale dal primario della pediatria. Il giorno successivo di buon’ora fummo purtroppo costretti a ritornare sui nostri passi. Avevamo esaurito la bombola di ossigeno dell’autolettiga durante il viaggio di andata  e ne avevamo indispensabile necessità per poter fare il viaggio di ritorno. Quando avanzammo la nostra richiesta chiedendo di caricarci la bombola dell’ossigeno dell’autolettiga, ci fu risposto testualmente dal medico della rianimazione svizzera: ”Questi soggetti, come suo figlio, non hanno assolutamente la possibilità di sopravvivenza, perciò  per ossigenarlo, quando passerete dal valico esponetelo con la testa fuori dal finestrino”. Questo è uno dei tanti episodi che siamo stati costretti a subire, ma molti altri ne abbiamo purtroppo dovuti sopportare, non mi rendo ancora oggi conto di come abbiamo fatto a superarli. Il bambino doveva fare una terapia immunostimolante ancora in fase sperimentale, l’interferone, e nessuno gliela voleva eseguire, in nessuna struttura ospedaliera in cui il bimbo veniva ricoverato. L’ultimo degli innumerevoli ricoveri, mio figlio lo subì in provincia di Milano, dove per chiudere definitivamente il caso, oltre ad imporgli un respiratore non idoneo al suo naturale svezzamento ed oltre a mandarlo in coma a causa di un errato inserimento di una cannula tracheale , i sanitari locali erano riusciti quasi a convincere mia moglie, che era sempre rimasta ricoverata nel box della rianimazione accanto a lui per tutto il tempo del ricovero dormendo per otto mesi su di una poltrona, a staccare i tubi del respiratore e a lasciar morire il bambino. Solo la mia tenacia, la mia ferma convinzione che mio figlio avrebbe potuto uscire da quella situazione, fece si che riuscii a convincere il primario a farlo trasferire nella rianimazione del policlinico della città dove risiedevamo. Nemmeno li, purtroppo, le nostre traversie non dovevano ancora finire. Fu trasferito d’ufficio a Verona. Riuscii per fortuna ad imporre che nel reparto di rianimazione, assieme al bambino, rimanesse anche mia moglie per controllare, ormai per me diventato evidente, il sospetto operato dei medici. Anche qui ci era stato detto che di li a poco tempo il bambino sarebbe deceduto, poiché secondo il parere dei  sanitari, le cure che avrebbero dovuto fargli ma che non volevano fare, non avrebbero assolutamente potuto funzionare positivamente. Constatata ormai la posizione dei medici che dimostrava palesemente un categorico rifiuto per curare mio figlio in modo adeguato, presi la decisione  di portarmi a casa il bambino, era il mese di maggio del 1984. Predisposi, seppur in modo molto artigianale, tutto un supporto di attrezzature per far funzionare un respiratore che ci era stato prestato a Milano per poterlo gestire da soli. Quando i sanitari vennero a sapere di questa mia intenzione, non condividendola assolutamente, per motivi a me ormai già noti, con l’inganno e con false giustificazioni agirono repentinamente per bloccarlo in ospedale. Si rivolsero al giudice dei minori, giustificando il loro operato ed accusando nel contempo me di essere testimone di Geova, anche se in verità non lo ero e non lo sono mai stato, definendomi reo e colpevole di non voler curare il figlio. In  conseguenza a tale grave accusa, da quel momento, mi venne tolta “la patria potestà”. Solo la fortuna volle che il giorno successivo riuscii a convincere il giudice che le cose stavano diversamente da come gli erano state descritte, reintegrato poi nella potestà parentale, alle dieci di sera e con i carabinieri, riuscii a portarmi a casa la mia creatura. Non voglio tediarla oltre nel narrarle tutta la mia vicenda che ha presentato  ancora in seguito ulteriori ingiustificati soprusi calpestando continuamente il “diritto alla vita” che mio figlio aveva ed ancora ha. Se vorrà la potrà capire meglio nel libro che allego a questa lettera  e che spero vivamente lei vorrà leggere e dope potrà anche rendersi conto che non tutta la classe medica ci è stata ostile, fra gli altri è per me un onore citare un grande scienziato, allievo e pupillo di Albert Sabin, il professor Giulio Tarro di Napoli, che da anni si prodiga, con grande umanità e disponibilità, consigliandoci sempre indispensabili supporti terapeutici per mantenere la situazione immunologica di mio figlio Alberto appena nella norma, avendo mio figlio Alberto, come gli altri due deceduti, subito purtroppo dal vaccino antipolio un danno irreversibile proprio al suo apparato immunitario.

Sei anni fa, io ne sono convinto, in conseguenza  alle atroci traversie che siamo stati costretti a vivere, mia moglie è deceduta per un tumore, così sono rimasto solo con un figlio nelle condizioni che dopo anche a questo ulteriore dramma della morte della madre glielo lascio immaginare e, dipendente ancora dopo anni di tentativi di svezzamento totale dal respiratore, gli è ancora indispensabile durante le ore notturne.

Vede caro signore, vorrei che lei potesse capire che enorme valore ha per me la vita di questo figlio, avendone  visti morire due. Non si può fare assolutamente alcun paragone fra la sua vicenda e la mia, non voglio nemmeno lontanamente pensare che un padre come lei voglia il male per la propria figliola. Forse, dal suo punto di vista, ha totalmente ragione lei, ma la mia assoluta inaccettabilità del fato, che magari potrà anche essere definita da taluni anche egoistica, il troncare una vita sapendo coscientemente di farlo, seppur con la logica giustificazione di alleviare delle sofferenze, è un’azione che stravolge il mio modo di pensare, di essere e di esistere. Dovrei in qualche modo rinnegare tutti gli anni di lotta che sono stato costretto a compiere per salvare la vita al mio Alberto, e questo significherebbe per me rinnegare totalmente me stesso. La mia mente ed il mio essere si ribellano fin dalle mie più profonde viscere, solo se mi potesse sfiorare il pensiero di compiere questa azione che forse lei considera, giustamente o ingiustamente non spetta a me dirlo, ma sicuramente con profonda sofferenza, “normale” o “doverosa”.

Senza voler minimamente giudicare l’operato che lei compirà, spero che possa capire lo stato d’animo di un padre come me, che ha lottato e sta lottando ancora ostinatamente per far sopravvivere il suo “bambino” diventato ormai uomo, quest’anno ha compiuto  32 anni, e che cerca di far comprendere sia a lui che a tutti quelli che vivono nelle stesse sue condizioni che la vita è un dono prezioso che va gustata anche in situazioni di grandissime e insormontabili oggettive difficoltà, ma che nonostante tutto, vale sempre la pena che venga “vissuta appieno”.  Il mio vuol essere solo e semplicemente uno sfogo di padre che cerca di confortare, a modo suo qualsiasi cosa potrà accadere, un altro padre nell’intento di farsi sentire vicino a lei in questo momento di immane dolore.

                                                                              Giorgio Tremante, padre di Alberto

Verona 15 novembre 2008

Alberto in volo verso Roma per partecipare alla

manifestazione delle “Vittime dei Vaccini” il 29 ottobre 2008

Mandate tutti dei fiori, copriamo con essi la “VERGOGNA” di

chi dovrebbe ricordarsi del sacrificio delle nostre “VITE” onde

evitare che in futuro ne vengano “SACRIFICATE” delle altre ! 

FIORI.....AL MINISTRO DELLA SALUTE,

con un nastro viola in segno di lutto, perché si ricordi che siamo esistiti anche noi,

“MORTI DA VACCINO, PER ORA, DIMENTICATI ”

ma verremo sicuramente ricordati dalle generazioni future ! ! !